Albascura è il ritratto di una disperazione consapevole


I subsonica sono esperti conoscitori dei Murazzi, della notte torinese che ormai non è che un ricordo, del disagio che la animava

Quest’avventura di che cosa parla veramente una canzone, mi sta facendo fare grandi scoperte, anche su canzoni che ascolto da sempre, ma spesso senza fare troppo caso al significato. Tipo Albascura. È sempre stata per me sinonimo di rabbia adolescenziale, non mi ero soffermata al significato generale del testo; sentivo mio fratello che l’ascoltava ad alto volume dal suo invidiatissimo stereo e mi sembrava solo un lamento qualsiasi, di autolesionismo targettizzato dell’età della ribellione.

Invece c’è molto di più. Curioso che gli autori di questo testo siano tutti uomini, ma che disegnino perfettamente il malessere di una giovane donna.

Venti anni e la ricerca continua di un minimo sollievo nel sesso a portata di mano, nelle sostanze in cui si imbatte navigando nelle notti più scure di Torino, quelle dei Murazzi che furono.

Frasi che ora sanno d’inutilità,
Di desideri tiepidi già smossi.
Lei si riveste, ormai non la diverte più.
Probabilmente lui vorrebbe anche ricominciare.

Le frasi sempre uguali in letti diversi, si assomigliano tutte. E perdono significato e forza. Ci si riveste in fretta, per il freddo e la nausea, magari lui un’altra botta la vorrebbe anche dare, ma più per abitudine che per desiderio.

Alibi che attenuano l’oscenità
Riflessa intorno alle bottiglie vuote
Dai suoi vent’anni opachi e rispettabili:
Così si sa che c’è qualcosa che non va.

C’è sempre una scusa alle cose di cui ci vergogniamo (e magari solo per un atavico senso di colpa cattolico). Avevo bevuto/oggi è una giornaa di merda che piove solo/mio padre mi picchia/mio fratello si droga. Ma il riflesso dei loro corpi che si incontrano senza dignità si amplificano collorate di verde su quella bottiglia di Tennent’s.
I riflessi le ricordano che ha vent’anni e che è altrove che vorrebbe davvero essere, ma senza sapere dove.

La notte schiude le sue braccia fragili
Tra le emozioni che si intrecciano
E lei confonde spesso forza ed esperienza
Per tutti gli uomini osservati da sotto.
Si nutre di cose che fanno male
E ama quando è l’ora di odiare,
Si nutre di cose che fanno male
E odia quando è l’ora di gridare.

Però la notte la accoglie, è l’unica che le spalanca le braccia e le dà qualche brivido, nei giorni tutti identici di noia e apatia. E crede che più corpi incontra più possa dirsi grande e dimenticare la bambina vuota che fu.
In fondo il dolore è meglio della noia. Si affeziona facilmente a chi le fa male volentieri e quando si accorge che quello che fa non le sta bene, la bocca si apre, ma non emette suoni, non riesce a urlare la sua rabbia, ma odia in un silenzio che viene interpretato come assertivo.

Abiti firmati d’inutilità
Riscattano un affetto che ora latita.
Buone maniere che sono sempre le stesse:
Da sempre sa che c’è qualcosa che non va

La mamma crede ancora che tu sia una bambina. Ti compra i vestiti costosi che chiedi, perché costano comunque meno di un abbraccio che non è capace a elargirti. Però siete impeccabili, in mezzo alla gente: una famiglia allegramente educata e disastrosa solo dall’interno. Da sempre lo sa, ma solo lei lo confessa e solo a se stessa.

La notte che sorride ha denti fragili
Per tutti i calci che l’aspettano.
Generalmente lei non dà la confidenza
A tutti quelli che si atteggiano troppo

La notte la chiama, le sorride, ma nasconde insidie che non si vedono da subito, quando con le luci colorate sembra tutto bello. Sceglie lei con chi buttarsi, non regala soddisfazioni a chi la crede già sua.

Solo una cosa so di sicuro: vorrei raschiare la mia faccia contro il muro

Una cosa sola so che mi darebbe sollievo davvero, il dolore inequivocabile di buttarsi contro un muro, per sentire davvero il male addosso, inequivocabilmente tangibile.

A casa questa notte non ritornerà.
In viaggio fuori-serie verso nessun posto.
Narici rispettabili festeggiano:
Così si sa che c’è qualcosa che non va

Non c’è cosa peggiore che fermarsi per chi non ha pace. Meglio correre veloci nelle ore piccole. Tra la cocaina che veste a festa ogni cesso e cade sulle camicie meglio stirate. In fondo è solo un modo per parlare la lingua degli altri tormentati, per riconoscersi.

La notte scivola sugli occhi gravidi,
Gonfi di amaro che rovesciano.
Generalmente lei riserva indifferenza
A tutti quelli che si stringono troppo.
Si nutre di cose che fanno male
E ama quando è l’ora di odiare,
Si nutre di cose che fanno male
E odia quando è l’ora di gridare

La notte ha un difetto enorme: finisce, e spesso troppo presto. Rimangono gli occhi gonfi di chi non ha riposo, di chi ha ingerito acqua amara per non stancarsi mai. 
Non le piace chi approfitta della notte per sentirsi in diritto di alitarle sul collo, di accorciare le distanze. Le piace scegliere da sè la sua vittima carnefice. Ogni mattina è peggio, ma quel peggio è quello che la fa stare viva e rabbiosa. Muta, odia in silenzio.

È l’aria della notte della sua città che punge come un senso d’inutilità.

E questa era Torino, sembra una vita fa, quando c’erano i Murazzi veri, quelli dove bene e male si scioglievano insieme nella melma del Po. L’aria in riva al fiume è assai più severa d’inverno, come la domanda ancora più dura che ti pone: ma che cazzo ci fai qui a quest’ora con 0 gradi, la pioggia, e neanche un amico a fianco?

Facebooktwitterredditpinterestlinkedin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *