Meno Dolce, Mai Amaro.


La musica pompa altissima, mi avvolge, solleva, mi ruba il respiro, quel poco che ho. Tiro un’altra golata dalla bottiglia amarissima: smorfia e poi sorriso. Ti abbraccio, la tua felpa morbidissima e leggermente sudata mi accoglie volentieri. Mi prendi sottobraccio, danze popolari in contesti urbani post-moderni, post-atomici e i bassi ci fanno vibrare anche le costole. Un altro sorso del nostro elisir di lunga vita danzante. Pochi minuti dopo siamo in terra, carponi, le mani appiccicose di rhum&coca altrui, incuranti dei possibili vetri, dei milioni di microbi a cui ridiamo in faccia. Facce molli le nostre, di gomma: pasticcio le tue guance elastiche, mi regali sorrisi di bimbo. Solo ogni tanto quel sorriso si incastra, grugnisce, una ruga ti attraversa il volto, l’anneghi con l’acqua Lilia corretta con polvere di stelle. Sono attenta e vigile, soprattutto quando sono fatta, perché ho paura. Con perizia mi assicuro che almeno un centimetro della tua pelle sfiori la mia sempre, perché mi scaldi, allontani il fantasma dell’ipotermia. Perché mi tieni lì, se non ti toccassi volerei via lo so. Sarei in un corridoio buio, i pensieri come rapaci velocissimi mi graffierebbero il volto e sparirebbero senza che riesca a inquadrarli. Sarei sporca, il senso di colpa per la mia mancata vita da ragazza perbene mi si appiccicherebbe addosso, non riuscirei a lavarlo via senza ungermi le mani e tutto ciò che mi circonda.

Abbiamo tutti un salvagente quando ci facciamo. Marco deve lavarsi i denti se no impazzisce: sentire le setole nuove sui suoi denti che splendono più che mai e l’aria che prepotentemente si infiltra in ogni fessura del suo cavo orale, lo fa sorridere e sorridere lo convince a stare bene. A Sonia invece piace mangiare una clementina, che sia Maggio o Novembre, se non ha con sé una clementina non beve nemmeno dalla bottiglietta. È assurdo perché nessuno di noi ha fame, ma lei senza quel gusto asprognolo sulla lingua non si sente al sicuro; poi tiene in mano le bucce ruvide, le annusa a lungo, chissà a cosa pensa.

Il mio salvagente è la tua pelle. Non mi basta guardarti e saperti lì. Quando l’MD ti sale ogni mente è un pianeta che ruota sulla propria orbita, ho bisogno di cadere nella tua. Tu mi concedi tutto, quando fai pipì per strada tengo il piede a fianco al tuo, le tue Nike baciano le mie Vans nere e mi basta quello. Quando la musica finisce ho invece bisogno della tua fronte proprio contro la mia per superare quel silenzio in cui mi cadono addosso le voci delle persone che tornano a vivere, rumorose, uscendo dal locale.

Andiamo da me?

Ti propongo. Ci sdraiamo sul tappeto verde Ikea con pelo lungo, ci solletica i piedi, le mani, la schiena. Ci sediamo una di fronte all’altro. Tu con le spalle contro il muro. Con le unghie disegno sul tuo ginocchio e sulla coscia che contrai regolarmente per dimostrarmi l’atleta che sei. Ti scrivo messaggi che non saprai mai. Risuonano gli Alt-j, ci prendono la mano per riportarci con la massima delicatezza allo squallore della domenica iniziata già da una decina di ore. Ti si chiudono gli occhi finalmente, ti bacio le labbra socchiuse con una delicatezza che non mi appartiene, non ti muovi, ti perdi il momento che più sognavi da sempre.

La mia vista torna lucida, l’amore che ho provato per te in questa notte euforica è lontano. Il tuo si sveglierà domani, più forte di prima.

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