Carta e penna per un viaggio viscerale lontano dagli stereotipi, vicino alle differenze da valorizzare, alla ricerca del proprio sé femminile
Tra i molti eventi ospitati dalla XXIX edizione del Salone del Libro di Torino, si è svolta anche la premiazione del concorso letterario nazionale Lingua Madre: un concorso riservato alle donne straniere in Italia. Abbiamo intervistato l’ideatrice Daniele Finocchi per capire meglio di cosa si tratti e quali sono le radici in cui affonda saldamente il suo successo che lo ha portato alla XI edizione appena conclusa.
Quali sono i temi più ricorrenti, le esigenze narrative delle donne straniere in Italia? Possibile tracciare un “profilo letterario” delle diverse nazionalità: argomenti o stile diverso a seconda della provenienza?
Il dato più importante che emerge dalle centinaia di narrazioni raccolte (sono oltre 4 mila le donne che si sono rivolte al Concorso in questi 11 anni) è che le donne — da qualsiasi paese provengano, a qualsiasi cultura, a qualsiasi religione appartengano — hanno un modo assai simile di affrontare la vita e viverne gli eventi e in questo si riconoscono. Il Concorso nell’ultima edizione ha visto partecipare oltre trecento autrici, ma ha ottenuto sin dalla prima edizione un grande riscontro: donne cubane, argentine, marocchine, senegalesi, vietnamite, indiane, romene, bulgare, camerunensi, ecuadoriane e di tante altre nazionalità hanno colto con entusiasmo l’opportunità di raccontare le loro storie confrontandosi con la cultura, gli usi e i costumi della vita italiana. Racconti veri, che indulgevano poco all’artificio, a volte crudi, violenti, sofferti come le storie che raccontano, altre volte pieni di passione, sentimento, ironia e amore. Le antologie che li raccolgono sono più di una semplice testimonianza: dietro a tanti racconti diversi c’è una sola storia, più grande ed importante. Ed ecco allora che temi quali la genealogia femminile, la differenza sessuale, sono spesso quasi innati, più che pensati coscientemente.
Le donne sono predisposte alla maternità, ad accogliere l’altro da sé, ad averne cura e a far sì che sviluppi la propria autonomia. Così come hanno — quale modalità propria di stare al mondo — la relazione prima della norma, la responsabilità prima della convenienza, la cura dei rapporti prima della giustizia astratta, come ci hanno dimostrato tante filosofe e pensatrici, quali Carol Gilligan.
La condivisione di un momento letterario, dell’atto dello scrivere insieme, porta alla piena scoperta e consapevolezza del proprio sé femminile. La narrazione, strettamente connessa al processo di “ricostruzione” del sé femminile, diviene così, per tutte le donne di qualsiasi parte del mondo, uno strumento indispensabile per pensarsi e rappresentarsi al di fuori degli stereotipi. Ma anche uno strumento per riappacificarsi con le proprie origini e la propria identità culturale, per riconoscere il debito simbolico verso la madre, per mantenere sempre viva la memoria personale.
Sono molte le ragazze che mettono a nudo le difficoltà delle giovani generazioni di confrontarsi con realtà diverse e spesso contrastanti (quella familiare e quella della società in cui si trovano a vivere), ma anche la gioia e la speranza che può far nascere un incontro, con tutta la semplicità e l’entusiasmo dell’adolescenza.
Quali le nazionalità che partecipano di più?
La composizione è molto variegata, con tante diverse provenienze. Se un dato si può rilevare in questo senso, è che negli ultimi anni è molto aumentata la presenza di autrici asiatiche e cinesi — un tempo assai poco inclini ad aprirsi all’esterno — grazie alla presenza delle giovani generazioni, nate e cresciute in Italia.
Perché solo donne?
Per dare voce a chi nell’ambito della migrazione è discriminata due volte: in quanto migrante e in quanto donna. Il pensare delle donne e il loro sentire differentemente abbraccia il mondo e si sta tramutando in un patrimonio umano universale. Quando nel 2013 l’allora Ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge partecipò alla premiazione del Concorso, esordì dicendo che avrebbe voluto eliminare la consonante “g”: avrebbe preferito, cioè, che il suo Ministero fosse dell’Interazione, sottolineando l’importanza della relazione e dello scambio, nel rispetto delle differenze. E della differenza.
Lo stesso concetto è espresso efficacemente da Lydia Keklikian, una delle autrici del Concorso, nel suo racconto: Le persone devono interagire come gli ingredienti del taboulé. Non devono sciogliersi le une nelle altre, non devono perdere la propria entità culturale, ma devono mantenere i loro diversi sapori, colori e consistenza, fare in modo di comporre una realtà colorata, vivace e appetitosa, che stuzzica il desiderio di ognuno di conoscersi a vicenda.
Lingua Madre non è solo scrittura, il concorso si è declinato grazie a collaborazioni e premi speciali in diverse forme d’arte. Ci racconta le più significative, le arricchenti o originali?
Tutti i premi speciali del Concorso mettono a fuoco e valorizzano aspetti e forme d’arte significative. In particolare, il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha aperto la sezione dedicata alle immagini.Tutte le immagini selezionate sono visibili su www.concorsolinguamadre.it — Sezione Fotografica e sono oggetto di una mostra annuale curata da Filippo Maggia. Allo stesso modo il Torino Film Festival valorizza il “narrare per immagini” andando a premiare il racconto maggiormente adatto ad essere trasposto in sceneggiatura cinematografica. Colpisce l’immagine di una delle vincitrici del Concorso, come ha sottolineato Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, che ci mostra il volto di una donna marocchina: un insieme di rughe nobili, che sembrano un grande campo arato, come se in quei solchi fosse davvero stata seminata l’esperienza di una vita. Immagini che raccontano il nostro tempo e che sono capaci di toccare i nostri cuori. Altrettanto importanti sono la presenza del Rotary Club Torino Mole Antonelliana che premia il racconto maggiormente ispirato ai temi della pace e della tolleranza nel mondo o quello di Slow Food Terra Madre che premia il racconto maggiormente ispirato ai temi legati al cibo ed alla sua produzione.
Il concorso nasce proprio nell’ambito del Salone del libro, ci racconta come?
Nel 2005 la vicedirettrice di Grazia (periodico per il quale seguivo come inviata — sono giornalista — il Salone del Libro di Torino) mi chiese di ideare un concorso da destinare alle lettrici e in collaborazione col Salone. Quell’anno nasceva il programma Lingua Madre, dedicato agli autori stranieri, e tra le varie proposte che portai al giornale, ci fu subito quella di un concorso dedicato alle donne straniere e migranti, il Concorso Lingua Madre. La rivista scelse poi di realizzare un concorso sul tema del “sogno” (tema conduttore del Salone 2005), ma io continuavo a pensare alla ricchezza rappresentata dai possibili racconti delle donne straniere e mi spiaceva abbandonare il progetto per diversi motivi: sia professionali sia inerenti il pensiero femminile. Ero convinta che fosse veramente necessario uno spazio per “dare voce”, dove le donne avrebbero parlato/scritto portando novità su più fronti e ambiti: nel linguaggio, nell’interpretazione dei fatti, nella rappresentazione dell’immagine femminile. Decisi quindi di realizzare il progetto in autonomia e lo proposi a quelli che sono ancora i partner del Concorso. Il Salone Internazionale del Libro accettò subito la sfida. Il Concorso diventò successivamente progetto permanente del Salone Internazionale del Libro di Torino e della Regione Piemonte che vi partecipa con l’Assessorato alla Cultura e la Consulta Femminile Regionale.
Come è cambiato il Salone negli ultimi anni?
Al di là dell’attenzione ai nuovi fenomeni (dall’editoria digitale alle nuove forme espressive), non si è mai smesso di lavorare sulla cultura con pazienza e determinazione. Basti pensare al grande lavoro svolto e che si continua a svolgere nei confronti dei e delle giovani o a quello sulle piccole realtà editoriali, a quello stesso sulle migrazioni con un programma come Lingua Madre, nato quando ancora nessuno parlava di questi temi, e tanto meno in termini culturali, dando visibilità ad autori e autrici stranieri/e, sconosciuti/e in Italia. Un’autrice del Concorso spiegava come la paura verso gli stranieri sia come la paura del buio che hanno i bambini: quando si accende la luce si dissolve.
Tra le vincitrici dell’ultima edizione c’è la tematica del carcere (Premio giuria popolare). É un tema ricorrente? Come viene affrontato?
Non sono rari i racconti di donne detenute, anche grazie alla collaborazione che ci lega da sempre al Ministero di Giustizia, compreso il Dipartimento Minorile, che distribuisce il bando in tutti gli istituti di pena femminili e grazie all’attività svolta nel corso degli anni nelle carceri con laboratori, letture, incontri con le autrici.
Lo scopo del concorso immagino sia più di utilità sociale che quello di scovare talenti, ma alcune delle vincitrici delle passate edizioni hanno poi continuato la loro carriera letteraria…può farmi qualche nome di vincitrici o partecipanti passate che hanno continuato a scrivere?
Tutte le autrici che sono oggi considerate di riferimento nell’ambito della letteratura italiana interessata ai temi della migrazione (letteratura postcoloniale e della migrazione come viene chiamata, ma sarebbe meglio smettere di dare appellativi ormai impropri) sono state autrici del Concorso Lingua Madre: da Cristina Farah Ubah a Gabriella Kuruvilla, da Laila Wadia a Claudileia Lemes Dias, da Candelaria Romero ad Anna Belozorovich, da Rosana Crispim da Costa a Clementina Sandra Ammendola, Michaela Sebokova e tante altre. Nel caso di Cristina Farah Ubah, il suo romanzo d’esordio — Madre piccola (Frassinelli) con cui si aggiudicò il premio Elio Vittorini — è stato sviluppato proprio dal suo racconto vincitore al Concorso Lingua Madre.
Il concorso Lingua Madre esiste da ormai più di 10 anni, il rischio è quello di essere ripetitivi nelle tematiche affrontate. Come avete intenzione di mantenere vivo e sempre interessante il progetto?
Non credo ci sia il rischio di essere ripetitive, quello che le autrici raccontano è la vita e il mondo, che sono in continua evoluzione e mai uguali a se stessi. In undici anni poi il progetto è diventato qualcosa di più grande e complesso e svolge oltre 100 incontri ogni anno su tutto il territorio nazionale con laboratori, incontri, presentazioni, convegni, reading e tanto altro. Basti pensare a tutto il lavoro svolto sul tema del cibo che ci ha visto partecipare alla rete internazionale di donne We Women for Expo — di cui sono ambasciatrice — e che ancora continua l’attività, dalla quale sono nati tanti nuovi progetti come il programma video Ricette e parole. Il cibo narrato dalle donne, un tutorial di cucina “al femminile” per condividere, fra italiane e straniere, ricette, cultura ed esperienze di vita legate al cibo (un piatto, diverso per ogni puntata, che diventa il pretesto per un piccolo viaggio tra ricordi, musiche, pensieri, accompagnati dalle letture di racconti tratti dalle antologie del Concorso Lingua Madre). E poi i nuovi percorsi di analisi e di pensiero che svolgiamo con il Gruppo di Studio del Concorso, formato da docenti italiane e straniere da cui è nato anche il volume “L’Alterità che ci abita — Donne migranti e percorsi di cambiamento” (Edizioni Seb27). Da qui anche la costante collaborazione con diverse Università italiane e le esperienze che ne derivano. Tra le più recenti, la partecipazione al progetto di Ateneo “Transnational Appetites: Migrant Women’s Art and Writing on Food and the Environment” finanziato dalla Compagnia di San Paolo e promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, nell’ambito del quale sarà organizzato il festival internazionale Alla tavola delle migranti che si terrà a Torino il 17 settembre 2016 (Cavallerizza Reale).
I racconti delle autrici, le loro storie, le loro voci, il loro agire, tutto questo è nutrimento per la storia “vivente”, che le donne creano intessendo relazioni, facendo scaturire la luce del cambiamento dal cuore del presente. Domani studi demografici, sociologici, storici faranno il quadro di ciò che è accaduto imprigionando la realtà in categorie scientifiche, tabelle e inquadramenti. senso. Noi, invece, preferiamo unire pezzi di vita, storie lontane e vicine, quelle di chi è nata qui — qui, dove? –, quelle di coloro che — giovanissime — già vivono nella complessità di provenienze multiple. Tutte insieme a formare un cerchio in cui la parola di ciascuna e di tutte cuce e ricuce i brandelli del qui e ora e, seppure non conosce la figura finale, instancabilmente “mette al mondo il mondo” e ne significa il senso.