Là dove la festa ha il sapore antico di una visita inattesa
Il carnevale è una buffonata, è il primo pensiero quando si pensa a centina di persone che si vestono in modo ridicolo e affollano le strade.
Eppure non c’è bisogno di citare il Carnevale di Rio o quello nostrano di Ivrea. Se vi capita di fare tappa in Val d’Aosta, precisamente a Verrès e accomodarvi per un semplice aperitivo nel bar della piazza principale potrebbe accadere qualcosa di strano. Potreste ordinare un bicchiere di vino bianco “faccialei” e spizzicare salumi e formaggi a volontà. Niente di straordinario, se non fosse che lentamente il locale si riempirebbe di persone di ogni età e genere, tutte vestite con coloratissimi abiti da parata.
Ma che diamine succede?
Cinque secoli fa Caterina de Challant, contessa di Challant fa una cosa piuttosto insolita per l’epoca. Il 31 maggio 1450 abbandona le sue nobili stanze e insieme al consorte Pierre Sarriod, Signore d’Introd scende in paese, a Verrès. Si recano nella piazza principale e fanno uno strappo al rigido protocollo scatenandosi in danze sfrenate sopra le note dei musicisti di strada. Nello stupore generale Caterina allieta i baldi giovani del paese ballando insieme a loro in un clima di eccitazione generale.
La folla esulta, festeggia e ripete in coro «Vive Introd et Madame de Challant» Quella giornata è rimasta nel cuore dei Verreziesi che ancora oggi a Carnevale rievocano quell’episodio e lo fanno con un impegno e una dedizione pù unici che rari.
Un comitato sceglie la fortunata che vestirà i panni di Caterina, ed è proprio lei a eleggere il consorte che l’accompagnerà e le damigelle che la sosterranno. Le giovani del paese si immaginano sfilare in abito lungo ed elegantissimo per le vie del paese scortate da portabandiere, portascudi e una nutrita schiera di tamburi e trombe. Tutte le ragazze della zona sognano di essere anche loro Caterina l’anno che verrà.
La cerimonia di apertura del sabato, scandita dallo squillare delle trombe, trova il suo momento clou nella lettura del Proclama da parte del Ciambellano che invita tutti i presenti a lasciarsi alle spalle preoccupazioni e noie e godersi le celebrazioni. Ma talvolta c’è spazio anche per una vena polemica nel discorso recitato in un canzonatorio italiano antico «Che senso ha avere l’erba per le vie dello borgo e non nello campo sportivo? Un senso non ce l’ha. Che senso ha avere tanti uomini componenti dello comune e lo borgo tutto è sporco? Un senso non ce l’’ha» lamenta il signor Ciambellano in chiave pop richiamando una canzone di successo del Blasco. Terminato l’appunto semi serio, si invitano i presenti a salire al castello per la serata «dove nessuna madonna è brutta, dipende da quanto hai bevuto». Così finita la cerimonia allo storico grido di «Vive Introd et Madame de Challant» inizia la festa vera.
Ci si sposta in un dei più famosi manieri medievali valdostani per una sontuosa cena che, alimentata dai moltissimi litri di vino, degenera ben presto e acquisisce gli allegri toni di una sagra estiva, malgrado il freddo invernale. E le belle madame e damigelle iniziano a muoversi goffamente negli abiti cerimoniosi. E per tornare a casa non rimane che il sentiero che all’andata sembrava cosa facile, ma al ritorno è un percorso irto di ostacoli e terra, c’è perfino chi reduce da esperienze negative si arma di ginocchiere per la perigliosa discesa notturna. Arrivati in piazza, proprio dalla scalinata che poche ore prima ha accolto la sfilata, ci si trova un po’ brilli un po’ dormienti a fare colazione in uno dei tanti bar che per l’occasione non chiude mai.
Qui il carnevale è ben più di una festa di paese a cui partecipano solo i nostalgici di una certa età. É un’euforia collettiva che rapisce tutti quelli che a Verrès e dintorni sono nati e cresciuti e affascina chi la vive per la prima volta. Si festeggia dal sabato a martedì notte, malgrado il lavoro, l’età o gli affanni. Sono quelle complesse recite umane che hanno senso solo se ci credono tutti, lo popolo tutto come direbbe il Ciambellano.