Strapiena di vita
– Non tradirla.
– Ci siamo lasciate
– La scritta, che hai sul braccio, non tradirla.
– La sto onorando ogni giorno, solo che non mi sento superman, per niente
– Nessuno di noi lo è.
Eppure un giorno me l’hai raccontata tu quella favoletta sulla scala del sentire e io ci ho creduto davvero. Che tanto più soffriamo tanto più dimostriamo a noi stessi di poter essere assurdamente felici, a dispetto di chi sta sempre troppo “bene, grazie”.
Esiste una scala, dicevi, tipo quella per i terremoti, ma questa misura quando in giù e quanto in su puoi andare rispetto allo zero, all’apatia. Mi hai spiegato tu che ad arginare, a nascondersi dietro scudi e muri di cemento stavi al sicuro sì, ma non riuscivi a vedere né la gente che piangeva, né quella che rideva e i due suoni da lontano si assomigliavano e tu non sapevi mai come dovevi sentirti. E infatti navigavi lì, in prossimità del nulla.
Un giorno hai imparato tutta la teoria, così come me l’hai spiegata e la professi. Sentire, sentire, sentire, ripeti come un mantra, ma tra dire e il fare c’è di mezzo il cuore, la pelle, i polmoni che non si riempiono mai del tutto per paura di esplodere.
Te lo sei tatuato sul braccio e lo hai raccontato a tutti, riuscendo a viverlo solo per poco, solo a tratti, solo sul corpo quando si svela. Solo la notte, in compagnia di altre anime perse, solo quando svuoti il bicchiere e riempi la pista. Solo su un campo sintetico e in gesti scoordinati, solo a volte, con la pancia vuota e nervosa e la voglia insaziabile di un bacio.
A volte però non ce la fai. Indossi la felpa con il cappuccio che fa il favore di coprirti il braccio e la fronte, da sempre troppo alta di pensieri. Te ne stai lì, non esce niente, non entra alcuna freccia e nessuna corda ti raggiunge. Un distanziamento sociale che dura una vita, il tuo. Quello che ha i contorni della paura, di essere contagiati, dalla vita, con tutti i suoi rischi.