Con le braccia conserte per scaldarsi il cuore


Quando saliamo in casa è già giorno, cattivo giorno, croce e delizia. Che ci salvi da quella contentezza incerta e forzata, costante per dovere. Mi metto comoda e ti sporgo i pantaloni comodi che ti piacciono tanto. Io metto addosso quel pigiama caldo e ridicolo, per difenderci. Poi al telefono, lui. Vieni qui che fa freddo e la notte che se n’è volata via e ti ha lasciato orfano di musica e spalle.

Lo accolgo con un sorriso un po’ sincero un po’ non so, che forse ho paura che ti tremi la voce e si rompa il capolavoro che abbiamo creato con pazienza in queste ore, ma la sua barba mi fa il giusto solletico per farsi voler bene. Mentre tu sei preoccupata e silenziosa, come sempre accade quando qualcosa minaccia il tuo piccolo spazio vitale.

Finisce che non è come pensavi, che non devi lottare, nè difenderti, nè tirarmi. Si addormenta al fondo del letto sdraiato ai nostri piedi, mentre le nostre pupille ancora faticano a ritrovare la loro dimensione. Come un bambino, russa piano, e fissare il suo petto gonfiarsi e sgonfiarsi lentamente è l’unica attività che riteniamo degna di questo istante.

Rimaniamo io te e la voce di Levante che taglia il silenzio con una grazia irriverente e disegna con la sua voce un filo che va dalla tua mano al mio petto, così che il mio cuore puoi toccarlo battere. E senza dirci una parola, che sarebbe inopportuna comunque, firmiamo quel patto che anche senza le stelle, indissolubilmente lega a doppio filo le nostre disperazioni.

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