Sembra un film venuto male, tanto è banale.
Un quadro dozzinale di addii e dolori così simili che si confondono. I tuoi epici, i miei comici.
Tu che mi inviti ad una festa, e mi ricorda il giorno in cui ho deciso che non volevo essere migliore di come mi avevano disegnato. Non ho mai capito se fosse un’orgogliosa rivendicazione o una pietosa paura di fallire.
Ci verrò, sbaglierò ancora, perché staccarsi di dosso la pelle è disumano e mi sono arresa alle mie cicatrici, da cui passa la luce di tanto in tanto.
Se sono stanca mi concedo che mi tengano la mano, perché abbiamo tutti il diritto di credere che esista per noi una diversa evoluzione, salvo poi rimanere coscienti che per quelli come noi, non è che una pastiglia ad una festa o un bacio sbagliato. Una cosa bellissima che lasci per strada, come quello che è, un’illusione. E un’illusione la ami o la odi? La prendi e fingi di non vedere che è un fantoccio quello che ti porta a spasso.
Il grande gioco delle parti. Funziona se ci crediamo tutti. Se qualcuno ride è tutto da rifare.
E rido spesso io. Di gusto, di amarezza, di imbarazzo e di pietà. Perché è un time out dalla realtà di questa recita perpetua.
Ti ho attaccato addosso una canzone uscendo, so che ti pesa a volte, che la sera ti culla, un peso leggero ti invade lo stomaco e credo abbia la forma della parola “sorrow”. Gli stessi suoni che graffiano la lingua, lasciandola irritata.
Quella malinconia inerte che non sai darle un posto perché solo lì può stare, giusta, misurata, impeccabilmente spietata.
Ma poi esistono sorprese non è vero che no. Come Debora che si incazzava sempre: “Ma abbiamo vent’anni” e ci incoraggiava a mordere la notte, ma noi non avevamo fame abbastanza. E ora che lei ha una bimba e l’ha chiamata esattamente così, come ci eravamo dette fantasticando dai banchi di scuola della provincia, sembra tutto così buffo. Che adesso ci ritroviamo in mezzo a una notte che non è disegnata per noi e in fondo ci stiamo dentro bene, ne prendiamo la forma che man mano si fa più comoda, oscurando il motivo di quel perder tempo, di non saper dormire, né arrendersi a se stessi, mai.