Alzi le mani al cielo nella folla che ti culla. Le alzi a lui che ci crede, troppo vestito per un luglio caldissimo; le alzi a Dio, che non ci credi tu, ai fantasmi lasciati indietro chissà dove. Le alzi verso il futuro che vorresti fosse nient’altro che questo per ancora un bel po’. Sorridi senza sarcasmo a vedere dove sei. Alla fine sei riuscita a tener stretta ciò che conta per davvero. La gioia di un’innocenza che resta solo negli abiti. La forza di un crescere condito di botte e lacrime. La spontaneità di due occhi che si abbandonano a un destino diverso senza averlo sognato mai così. Se non fosse sciocco da pensare lo chiameresti sogno quell’affresco.
Cosa hai fatto mai di buono per meritarti questo? Sembra piovere, ma no.
Le nuvole arretrano davanti alla potenza di quelle braccia verso il cielo. Urli a una luna che non sente, la voce muore sotto una cassa che ti buca timpani e stomaco, che mai dolore fu più felice.
Ci allontaniamo esauste da quel tanto sentire, a rifugiarci in un bicchiere di plastica che ci copra la faccia dai pensieri che ti trafiggono anche quando non li sfidi. Mi porgi una lacrima che faccio mia, perché affondiamo le radici di questo germoglio nella stessa terra fertile. Finisce che sei tu ad asciugarmi la faccia mentre ti colo addosso le mie storie di fango.
Ci dicono di andare e obbediamo solerti, verso facce familiari verso case temporanee che abbiamo fatto subito nostre. Silenziosamente succhiare dalla notte ogni goccia di nettare. Offuscarsi i sensi, sudare i ricordi di un giorno lunghissimo.
E niente. A volte non è semplice arrendersi al fatto che tutto va, semplicemente bene.
Che siamo qui frutto delle coltellate date e avute. E nessuno ha i chiodi alle mani. Siamo in piedi sulle nostre gambe. Che muovi il culo e non pensi a niente.