Il Venezuela protesta da 52 giorni per la fine della dittatura

Ph. Cleo Zambonini

Si sente tanto parlare di Venezuela, finalmente. Non che sia bello ciò che sta accadendo, ma era davvero ora che tendessimo le orecchie. 
Un anno fa fui colpita da ciò che mi raccontava Cristina, venezuelana a Torino per studio. Dopo una partita di calcio giocata insieme, finimmo a parlare del suo paese.

Mancavano già la farina e tanti altri beni primari. Oggi, che le proteste si susseguono nella repressione violenta e nella censura, ho deciso di incontrarla e chiederle di spiegarmi. Sono sempre stata dell’idea che sulle enciclopedie la storia sia sempre uguale a se stessa, ciclicamente, e perda così un po’ di forza delle vite di cui narra.

Attraverso le sue parole, invece, mi ha portato lì.

Tra Cumanà, una città di mare con poco più di 300.000 abitanti, e Caracas, cuore della rivolta. E la ringrazio, perché non sono mai stata brava con la storia e la geografia. Eppure ha rapito la mia attenzione con la pazienza di chi spiega a un bambino, una cosa difficile e lontana da lui. Come il Venezuela, oggi, per una torinese che non ha ma visto il Sud America.

Sono arrivata qui a Torino a settembre 2011 con una convenzione tra la mia università a Caracas e il Politecnico, per studiare ingegneria. Era già un periodo difficile allora in Venezueala. Mancavano alcuni alimenti e c’era molta criminalità. Economicamente la situazione generale non era semplice, ma i miei potevano permettersi che io e mio fratello studiassimo in un’altra città.

Situazione politica in Venezuela

Partiamo da Hugo Chavez. Aveva il popolo dalla sua parte. È arrivato dopo 40 anni di due partiti politici che si alternavano tra loro, ma entrambi hanno un po’ messo da parte i poveri. Lui si definiva rivoluzionario e ha puntato tutto sui poveri. Dobbiamo favorire il popolo, ricchezza per il popolo. È arrivato quando le persone erano stufe dei governi precedenti. Prima ha fatto un colpo di stato, fallito, nel ‘92 ed è stato in carcere. Poi è stato legittimamente eletto nel 1999. Ha cambiato subito la costituzione. Lui e i suoi sostenitori la definivano la migliore costituzione del mondo.

C’era un clima di contentezza generale. Il petrolio era alle stelle. Ha fatto dei programmi per sostenere le fasce più deboli. Per ogni figlio ti davano dei soldi. ed era così fino a 5 anni fa circa. Non erano molti soldi, ma la gente era entusiasta. L’opposizione è esistita da sempre però. Nel 2002 c’è stato un tentativo di colpo di stato, sostenuto dalla dirigenza industriale e dalla Chiesa. La reazione popolare ha generato scontri e 200 morti. Dopo due giorni Chavez era di nuovo al comando.

Le ultime elezioni in cui Chavez è stato eletto sono state nell’ottobre 2012. Si è scoperto subito che era malato, ed è morto secondo i suoi sostenitori a marzo 2013. Prima di andare a Cuba a farsi curare, ha dichiarato che avrebbe lasciato tutto al vicepresidente Nicolás Maduro: la rivoluzione e la sua eredità politica. Da dicembre non ha più parlato. Ci sono state delle voci che sostenevano che il 29 dicembre fosse morto. È uscita una foto con un giornale, per smentire queste voci, ma sembra che fosse un fotomontaggio.

Hanno deciso di annunciare a marzo la sua morte, chiamando subito le elezioni, così tra gennaio e marzo hanno potuto preparare la campagna elettorale di Maduro. Si è visto proprio che a gennaio hanno iniziato a fare promesse, i suoi (di Chavez) non erano pronti a dicembre per le elezioni. All’annuncio della morte hanno indetto elezioni quasi immediate. La campagna elettorale dell’opposizione infatti è stata scarsa. Contro Maduro si è ricandidato Henrique Capriles Radonski, che aveva già perso contro Chavez nel 2012.

Gli slogan erano tutti basati sulla fedeltà a Chavez: Amor a Chavez era il più popolare per l’elezione dell’erede Maduro. Il governo ha dichiarato che hanno vinto con 50,66% dei voti contro il 49,07% dello sfidante L’opposizione ha denunciato la truffa con conseguenti manifestazioni e morti.

Votare in Venezuela

In Venezuela le elezioni avvengono tramite un sistema elettronico dal 2004. Non esistono carta e matita.

C’è una macchinetta tattile. Quando voti esce uno scontrino, lo chiudi e lo metti nell’urna. I dati sono trasmessi in diretta, ma rimangono segreti, in teoria. Ma i partiti del governo riescono a sapere se stanno vincendo o perdendo. Se stanno perdendo iniziano a portare gente. In teoria le elezioni sono dalle 8 del mattino alle 6 del pomeriggio, allora alle 5 dicono che estendono l’orario di chiusura delle votazioni, succede ogni anno. Alle 6 arrivano con i pullman tutti gli abitanti delle favelas, magari ubriachi, perché ovviamente quel giorno danno soldi per farli votare. È un giorno di festa, all’inizio. Ma se sono disperati, iniziano a minacciare. Sanno che ci sono zone di Caracas in cui vincerebbe l’opposizione e loro vanno lì in moto con le pistole per intimorirli.

I controlli sulle votazioni si fanno. Si sorteggia un tavolo e si verifica che gli scontrini cartacei corrispondano con il dato elettronico. Sono controlli a campione. I testimoni di ogni partito politico hanno però i risultati di ogni centro elettorale. L’opposizione sapeva quanti voti aveva avuto e hanno denunciato che i dati non coincidevano all’elezione di Maduro. Il governo si è rifiutato di controllare. Ci sono state le solite manifestazioni. È intervenuta lOrganizzazione degli Stati americani .

Si tratta di un’organizzazione internazionale che comprende i 35 stati indipendenti delle Americhe per il dialogo multilaterale e per la mediazione politica.

Il governo ha detto che avrebbe controllato un centro elettorale a settimana. Ci sarebbero voluti due anni così, e dopo poco, la questione è finita nel dimenticatoio.

Nel dicembre 2015 ci sono state le elezioni per eleggere l’Assemblea Nazionale (parlamento). La Mud, coalizione unitaria dell’opposizione, ha nettamente sconfitto il partito di Maduro, ottenendo i 2/3 de seggi. Subito dopo 3 deputati antichavisti sono stati messi sotto accusa per frode nel tentativo di indebolire le forze parlamentari di opposizione. E arriviamo agli ultimi risvolti:

“Siccome il Parlamento si ribella e oltraggia le deliberazioni del presidente, le sue competenze saranno esercitate direttamente dal Tribunale supremo”.

Queste le motivazioni usate dal Tribunale Supremo per assumere su di sé le funzioni parlamentari. Si tratta di un vero e proprio colpo si stato.

La situazione economica

Nel 2004 il governo ha “chiuso” la nostra moneta. Non esistono casse di cambio. Devi chiedere i soldi al governo se vuoi viaggiare e cambiare in dollari ed euro se ti viene approvata la richiesta. In base ai giorni e a dove vai puoi spendere un tot. Il governo fa da tramite. Il cambio è fisso. Quando sono partiti con queste restrizioni sulla valuta, il cambio era 2.15, poi 4.30 e ora è 10 bolivar per un dollaro. Però è nato un mercato parallelo. Chi aveva dollari ha iniziato a venderli un po’ più cari. Nel 2011 il cambio al nero era 14 bolivar per 1 dollaro al nero, 18 un anno dopo. Mia mamma ha fatto un mutuo per inviarmi 6 mesi di soldi. Hanno mantenuto costante il tasso, ma non ti cambiano più i soldi, perché il crollo del petrolio ha fatto si che non ci fosse più liquidità. Il Venezuela di suo non produce nulla. Si importa il 90% di ciò che mangiamo. Anche la benzina. Noi abbiamo il petrolio, qualcuno lo raffina e noi ricompriamo la benzina. Stanno smantellando la riserva di oro. Chi va all’estero non può più ricevere soldi da qui. La mia coinquilina qui a Torino è venezuelana, e i genitori non possono più inviare i soldi. Tutti i venezuelani che arrivano se la cavano lavorando oppure avevano già depositato dei soldi all’estero quando ancora era possibile.

Io son partita con l’intenzione di tornare. Non mi aspettavo che succedesse tutto quello che è accaduto. Io son partita a natale (2011), già ad agosto quando sono tornata i soldi che mi ero portata in contanti non servivano a niente. Pensavo di avere soldi per un taxi dall’aeroporto, per mangiare qualcosa… L’anno dopo idem, ogni anno peggio. Incredibile perché uno pensa, peggio di così non è possibile. Invece peggiorava sempre più.

I miei parenti sono a Cumanà. Mio padre è cileno, se n’è andato per Pinochet … già nelle elezioni del ’98, che videro Hugo Chavez vincere nettamente, diceva che non gli piacevano i suoi discorsi. Lui non lo ha mai appoggiato. Diceva che i governi militari fanno solo casini e aveva un po’ ragione.

Caracas e il resto del paese

Prima era Caracas a essere considerata pericolosa Se stavi a Cumanà — che ha circa lo stesso numero di abitanti di Siena, 300.000 — eri tranquillo. Adesso come insicurezza e mancanza di beni è uguale. Prima si provava a fare differenza. Siccome circa un decimo della popolazione nazionale sta a Caracas, se tieni contenta la città, tieni contenta una buona fetta della popolazione.

Questo è successo ad esempio con i blackout.

Cristina mi racconta che da quando ne ha memoria, ci sono sempre stati dei blackout di corrente durante il giorno.

All’inizio erano casuali. Avevano problemi con le centrali idroelettriche che non producevano abbastanza energia. Hanno iniziato a comprare l’energia, ma i soldi non bastavano. Allora hanno fatto un piano per tutto il paese, per ridurre i consumi toglievano la corrente a zone per alcune ore del giorno, perché di notte sarebbe stato l’inferno a causa della criminalità. La prima volta che hanno staccato la corrente a Caracas è stato un caos e hanno dovuto ripristinarla subito. Nella capitale ci sono grattacieli che in altre città non ci sono: ascensori bloccati, semafori spenti. Era assurdo. Quindi hanno deciso che a Caracas non era fattibile mettere in pratica questo piano. Diciamo che viene rispettata di più, se arrivano beni alimentari, li lasciano tutti a Caracas e mandano poco nelle province.

Il cibo è diventato un bene di lusso

L’arepa, piatto tipico venezuelano

Le panetterie vendono lecca lecca e stupidaggini. Non si trova il pane. Manca la farina. Il nostro piatto tipico, l’arepa è fatta con la farina di mais. É tipo un pane che si mette in piastra che si può farcire come preferisci . O a colazione o a cena.

Mancano olio, zucchero e caffè. Si mangia quello che si trova. È tornato il baratto. Se un giorno trovi qualcosa anche se ce l’hai la compri e la cambi per qualcosa d’altro. Non ci sono shampoo, deodorante, crema, assorbenti per le donne, pannolini. Quello che vedi lo compri e poi baratti.

Prima quando tornavo a Torino dalle vacanze in Venezuela, portavo una valigia con 3 kg di margarina, perché lì fanno una margarina buonissima che qui in Italia non si trova. Adesso è il contrario. Porto due valigie, una valigia e mezza sono cose per i miei parenti. Passo tutto l’anno a comprare shampoo, deodorante che qui costano, ma non ci sono là.

Sono tornata a Natale e caso vuole che fosse arrivata la margarina proprio quel giorno, dopo quattro mesi che non c’era! Una fortuna sì, ma non era il giorno in cui io potevo comprare

Cristina mi racconta che adesso in Venezuela si fa la spesa a turni. C’è una politica di razionamento alimentare per cui a seconda dell’ultima cifra del proprio documento di identità puoi comprare un giorno alla settimana.

Sono andata a cercare mia zia e mia mamma per farmi comprare la margarina da portare in Italia. Ma la situazione è molto più triste di così. Tutti i supermercati hanno sempre la coda fuori. Dalle 3, le 4 del mattino sono in coda. Cosa vendono oggi?, ci si chiede. Quando lo vendono al supermercato il prezzo è fisso, controllato dallo stato. I produttori non ce la fanno e smettono di produrre. Il governo ha espropriato il 60/70% delle ditte. È triste vedere le persone mangiare dall’immondizia. Vedi famiglie intere così. La mamma che prende l’immondizia e la mette in bocca ai figli.
I miei bene o male se la cavano. Quasi due anni prima che venissi qui hanno avuto l’opportunità di aprire un negozio di cellulari. Puoi vendere i prodotti al 30% in più di quanto li hai pagati. Se non lo vendi in fretta ci perdi come investimento, a causa dell’inflazione. Per questo molti negozi chiudono.
C’è l’800% di inflazione in Venezuela. I soldi non sono mai abbastanza. La banconota più grande è di 100 bolivar e un gelato costa 4000…Gli stipendi aumentano, quando Nicolas Maduro parla. Magari in un momento di sconforto generale decide di aumentare gli stipendi del 10%. Ma cosa cambia? All’inizio la gente si illudeva, adesso sanno che è peggio perché aumentano subito anche tutti i prezzi e tante persone perdono il lavoro. Infatti l’unico modo per licenziare un impiegato è dimostrare che non hai soldi per mantenerlo.

La libertà di stampa non esiste

Quasi tutti media sono al governo. Se guardo la tv, anche io magari mi sento chavista. In televisione sembra di stare in un altro paese, sembra tutto vada bene, poi ti affacci alla finestra e vedi che non è così. Il governo può mandare in radio e in TV simultaneamente quello che vuole. Se Maduro decide ora che vuole parlare al paese, tutti i canali sono obbligati a trasmetterlo, per legge. Un canale dissidente quando ci sono state le manifestazioni dovute alla crisi del petrolio, ha diviso lo schermo a metà lasciando da una parte il discorso di Chavez, dall’altra ha trasmesso quello che succedeva davvero nel paese, cioè la gente che protestava in piazza e la repressione. A questo canale non è poi stata rinnovata la concessione per trasmettere.

La CNN in spagnolo parlava molto del Venezuela. Da quest’anno il governo ha deciso che non si puo più vedere. Hanno censurato anche quella.

Ci sono due o tre giornali che dicono le cose come stanno, ma non hanno più soldi per importare la carta. La Colombia ci ha regalato quintali di carta per salvaguardare la libertà di stampa, ma non basta. Adesso per fortuna ci sono i social network, sono l’unico modo per vedere le cose.

Cosa chiedono i manifestanti da 52 giorni

  • Rimozione dei magistrati del Tribunale Supremo di Giustizia attuali.

Sono stati loro a togliere le funzioni costituzionali al parlamento per accentrarle su di sé.

  • La liberazione dei prigionieri politici

Ci sono più di 150 prigionieri politici, alcuni in carcere militare, alcuni in carceri comuni. Leopoldo Lopez, leader del Movimiento Voluntad Popular, antichavista, è in carcere da 3 anni; mentre la moglie, Lilian Tintori continua la battaglia del marito per i diritti umani. Si contano più di 2000 detenuti in questi 50 giorni. Alcuni vengono rilasciati il giorno dopo la cattura, altri no. Un civile non potrebbe essere giudicato da un tribunale militare, invece accade.

  • Un calendario elezioni

Avrebbero dovuto svolgersi le elezioni regionali nel 2016 e non le hanno fatte perché dicevano che mancavano i soldi. La verità è che sanno che perderebbero. Non so cosa potrebbe fare un governo nuovo. Il danno fatto non è recuperabile a breve. Bisogna cambiare governo per cambiare strategia. È un governo troppo corrotto. Bisogna che un nuovo governo investa in Venezuela. Le risorse ci sarebbero, il mio paese è quello con la più grande riserva petrolifera del mondo. C’è l’oro, il gas, i soldi potrebbero entrare, li hanno rubati tutti. Quelli che occupano le posizioni più alte cariche militari sostengono Maduro per un discorso economico. Ci sono tante prove che il governo abbia a che fare con il narcotraffico. I nipoti stessi di Maduro sono stati arestati negli Stati Uniti nel novembre 2015 per narcotraffico.

  • L’apertura del canale umanitario

Ci sono tante organizzazioni che vogliono inviare cibo, alimenti, ma il governo dice no. Rispondono che la crisi non c’è, per orgoglio forse. Anzi, il governo fa regali ai paesi “amici”. Una centrale elettrica al Nicaragua, molti chilometri di autostrada in Ecuador ecc.

Essere migliaia e sentirsi soli

A Caracas mio fratello di 19 anni partecipa alle manifestazioni. Anche io manifestavo quando stavo lì; ho anche mangiato il gas lacrimogeno, come diciamo noi. È sempre stato rischioso, le forze dell’ordine sono sempre state un po’ sproporzionate nella reazione, ma se fossi lì manifesterei ancora. Un po’ mi sento in colpa a non esserci. Da qui posso fare ben poco. Ci sono quasi 2 milioni di venezuelani all’estero. Molti sono andati via proprio in questi ultimi anni e quello che ci chiedono da dentro è: informate! Un po’ si sentono soli, nessun governo ha manifestato interesse a fare qualcosa. È difficile fare capire cosa sta succedendo. Nessuno si può immaginare cosa sia vivere in Venezuela. Ora se ne parla perché sono tanti giorni di fila che si protesta. Hanno deciso di non mollare, Sono 51 giorni (52 oggi ndr) che qualcosa fanno.

Prima o poi la pressione sarà così grande che dovranno o mollare o fare una di queste cose per accontentare il popolo. L’altro giorno chiedevo a mio fratello: fino a quando tu ti sveglierai e andrai a manifestare. quanto può durare?

Il presidente ha chiamato un’assemblea costituente per fine luglio. Allora sono sorti i primi dubbi anche dai chavisti: Chavez si vantava di aver fatto la miglior costituzione al mondo. Perché cambiarla? Se questo processo costituzionale dura due anni, le elezioni, previste a dicembre, saltano.

La voglia e la paura di tornare

La mia idea era di fare due anni qua e tornare. Poi vedendo come era la situazione, anche il professore con cui collaboravo in Venezuela mi ha suggerito di rimanere qui. Anche assumendomi come ingegnere e pagandomi più degli altri per i miei studi all’estero, non avrei mai guadagnato abbastanza da viverci. Quindi tornare sarebbe andare a stare con i miei e dipendere da loro. Non ce la farei a pagare una camera. Non me la sento. Ogni mese metto da parte dei soldi e poi li invio in Venezuela. Da qui aiuto, da lì sarei un peso. Anche se mi piange il cuore. Al massimo potrei tornare in America Latina. Sarebbe bello andare in Colombia, è vicino al mio paese, ci puoi arrivare in pullman. O in Cile che economicamente sta bene e lì potrei ottenere la doppia cittadinanza visto che mio papà è cileno. In Cile ci sono tutte le stagioni, però, non come in Venezuela, lì è sempre estate.

A Torino mi sono abituata, però tornerei a quella che era la mia vita. Tutto è diverso da dove arrivo io. Le persone hanno una voglia di festa continua. Non che io faccia molta festa, sono più da carte e birra, ma in Venezuela festa vuol dire condivisione. La cosa che mi manca di più però è la famiglia. Siamo in 40 e ci spostiamo quasi tutti assieme. Tutti i Natali, Capodanno, Pasqua. Il venezuelano anche con tutte le sue mancanze, problemi, dolori, riesce sempre a fare festa. Magari prima si faceva con il whisky, adesso il rhum va benissimo. Ogni volta che ci vado bevono qualcosa di peggio. Però ci si accontenta.

Qui basta che piova, che le persone iniziano a lamentarsi. I problemi là sono in scala diversa. Ma alla fine qui sto bene, non è bello vivere con la paura di essere derubata. Una volta mi hanno messo la pistola dietro la schiena per rapinarmi. Uscire tranquilla a passeggiare è una cosa bellissima e di sicuro mia mamma è molto più contenta che io sia qui al sicuro.

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