Tu che mi chiedi di fare un figlio e io che dico ok, che c’è per cena?


Tu che mi chiedi di fare un figlio 
e io che dico ok, che c’è per cena?
Ma tu non hai cucinato nulla 
tranne la lista della spesa per una serata perfetta
che comprende una fetta di torta e le grandi domande della vita 
inframezzate da litri di birra non troppo costosa.

E se la birra scende in fretta, 
un po’ meno i ricordi che snoccioli
che mi si fermano lì, 
tra la faringe e l’esofago. 
Ed è stupido, lo fai pure tu. 
Di volermi nata tra le tue mani, 
ma se lo fossi forse non è me che vorresti, 
ci hai pensato mai?

Che siamo frutto di cose 
a volte splendide e a volte orrende
che l’equazione che unisce gli errori 
alle cose di cui andiam fieri risulta te, risulta me. 
Che se ci scegliamo è per quell’ammasso di complessità
che ci ha invecchiato i cuori 
come il vino.

Finisce che è tardi, 
che anche la birra finisce. 
Che hai paura e quella paura ti rende umana, 
oltre che posizionarti sul volto una ruga insolita. 
Che se deve accadere, accade, 
incurante delle tue precauzioni per proteggerti le pupille 
e un po’ più giù.

Dovremmo imparare 
a non desiderare per noi inizi differenti, semmai diversi finali.
Di ritrovare la vita nelle tue mani o di morirci semmai. 
Che c’è per cena? ti chiedo, 
ma abbiamo già mangiato. 
Richiedimelo. Non della cena.

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