Si sa, la parola è la cosa che più nettamente ci distingue dal mondo animale, dal resto del mondo animale di cui siamo parte. Nei secoli e nei millenni, la lingua si affina per essere sempre in grado di definire con precisione questo o quell’oggetto di nuova invenzione, questa o quella tendenza sociale, di mercato, culturale. Neologismi spuntano come funghi, planano nelle nostre vite da oltre oceano, in un mondo sempre più linguisticamente globalizzato, dove i punti di riferimento sono i medesimi, gli strumenti, gli stessi.
Che soddisfazione mi da, sedermi al tavolo di un bar all’ora del tramonto (ora che fa freddo, anche un po’ più tardi), ordinare una birra leggera e disquisire del più e del meno e trovare nell’altro il mio stesso pensiero, ma detto meglio, mi galvanizza. Mi cade l’occhio su quella scritta sul muro.
Che bello giocarci con le parole, deriderle, padroneggiarle.
A volte penso ai rapporti umani. Ai momenti più edificanti di questi incroci, per me sono quelli in cui sono riuscita a tramutare in verbo una sensazione particolarmente dolorosa, a metterla nelle mani di qualcuno. Una chiacchiera fatta bene, magari a notte fonda, ti riempie il cuore, non importa che siano parole di lode, parole edulcorate: il più acceso dei dibattiti ti può rispedire a casa appagato dalla tua civiltà arricchita.
Capita a volte però, che ci siamo affezionati tanto alle parole, da non riuscire a farne a meno quando si potrebbe.
Il bisogno di arricchimento intellettuale è un tesoro che va coltivato indubbiamente, ma non lasciate indietro i vostri istinti immediati, quelli di cui la parola è una successiva mediazione falsata.
Le giornate in cui torni a casa e i concetti che navigano in te sono troppi anche per tutte le parole del mondo, e non ti va di affrontare burrasche di pensieri articolandoli bene, cercando conferme, smentite e confronti edificanti.
A volte hai solo bisogno di fare come i cani, tornare a casa, stenderti sul tappeto accanto al divano e aspettare una carezza in un rassicurante vuoto concettuale. Dovremmo concederci di imparare dalle bestie che si annusano senza vergogna, si strusciano senza obiettivi, con la sola ricerca di un riscontro immediato sulla pelle. Del calore vitale di un essere che esiste con te, hic et nunc, e vaffanculo ai racconti della tua giornata lavorativa di merda, al ronzio che fanno le tue parole quando ti dilunghi sui miei difetti. Tienile lì nella gola le parole che ti si formano, deglutisci mentre mi respiri addosso e non riesci a pensare ad altro che a quel ritmo regolare. Insieme, impoveriamoci, abbassiamoci a uno stadio primitivo, in cui non mi avresti scelto per come metto bene in fila le parole. Sceglimi stanotte per come la forma della mia mano sposa la tua spalla e i miei capelli ti accarezzano il viso quando mi chino per sentire l’odore della tua giornata. Non hai bisogno di dirmi che sei stanco, lo annuso sul tuo collo, che hai fumato tanto e sei arrabbiato per i tuoi insuccessi. Le parole a volte sono ridondanti su un corpo già eloquente per chi sa sentirlo anche suo.
Accarezzami accanto al divano, dammi da bere e da mangiare, portami fuori, fammi felice come un cane senza troppe pretese, fatti leccare la mano senza sottrarti, in quella saliva c’è tutto quello che non riesco a dirti.